Misure cautelari a favore dell’ente impositore

Misure cautelari a favore dell’ente impositore

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Misure cautelari a favore dell’ente impositore

Riepilogo della disciplina

L’art. 22 del DLgs. 472/97 prevede che l’ente impositore e la Guardia di Finanza, quando hanno fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito (sia a titolo di imposta che di sanzioni), possano chiedere alla Commissione tributaria provinciale l’autorizzazione al sequestro conser­vativo e all’iscrizione di ipoteca sui beni del contribuente e dei coobbligati in solido, ivi compresa l’azienda.

Tale norma è stata modificata dall’art. 16-septies del DL 23.10.2018 n. 119 (conv. L. 17.12.2018 n. 136), il quale ha esteso anche al Comandante provinciale della Guardia di Finanza la facoltà di pre­sentare istanza per l’adozione delle misure cautelari in relazione ai processi verbali di con­sta­tazione rilasciati dai reparti.

La domanda (sia ove formulata da un ente impositore che dal Comandante provinciale della Guar­dia di Finanza) postula determinate condizioni, in assenza delle quali la Commissione si limita a dichia­rare inammissibile il ricorso, senza esaminare nel merito la pretesa:

  • la previa emissione di un atto (es. processo verbale di constatazione, avviso di accertamento);
  • la sussistenza delle c.d. “esigenze cautelari” (fumus boni iuris e periculum in mora).

L’istituto in esame era già stato oggetto di vari interventi normativi ad opera:

  • dell’art. 27 co. 5 – 7 del DL 185/2008, che aveva esteso l’ambito di applicazione del sequestro e dell’ipoteca alle somme dovute a titolo di imposta e di interessi;
  • dell’art. 15 co. 8-bis – 8-quater del DL 78/2009, in forza dei quali le misure autorizzate dal Giudice conservano la loro efficacia successivamente al decorso di sessanta giorni dalla notifica della cartella di pagamento, agevolando in tal modo l’attività di riscossione dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione;
  • del DLgs. 156/2015, che ha modificato il procedimento d’urgenza disciplinato dall’art. 22 co. 4 del DLgs. 472/97.

Competenza a richiedere le misure cautelari

Le misure cautelari possono essere richieste dall’ente impositore, quindi, in primo luogo, dalla Direzione provinciale delle Entrate competente all’accertamento del tributo o dalla DRE.

Considerato che l’art. 22 co. 1 del DLgs. 472/97 fa riferimento all’Ufficio o all’Ente, si ritiene che la legittimazione spetti a qualsiasi ente impositore, come gli enti locali e i consorzi di bonifica.

a) Guardia di finanza

A seguito della modifica dell’art. 22 del DLgs. 472/97 ad opera del DL 119/2018, anche i Coman­danti provinciali della Guardia di Finanza possono presentare istanza per l’applicazione delle mi­sure cautelari in relazione ai processi verbali di constatazione rilasciati dai reparti dipendenti.

In tal caso, il Comandante provinciale della Guardia di Finanza deve tempestivamente darne comunicazione alla Direzione provinciale dell’Agenzia delle Entrate, in quanto organo competente per l’accertamento, la quale comunicherà le proprie eventuali osservazioni sia al Comandante pro­vinciale stesso che al Presidente della Commissione tributaria provinciale.

La norma prevede, inoltre, che decorso il termine di 20 giorni dal ricevimento dell’istanza, si pre­sume che l’Agenzia delle Entrate abbia dato parere favorevole alla richiesta delle misure cautelari.

Anche nel caso descritto, opera l’art. 22 co. 7 lett. b) del DLgs. 472/97 che prevede la perdita di efficacia della misura cautelare concessa, se, decorsi 120 giorni dalla sua adozione, non venga notificato l’atto impositivo.

b) Legittimazione alla richiesta

La legittimazione, sia sostanziale che processuale, all’istanza spetta in primo luogo all’ente impositore che l’ha presentata.

Premesso ciò, vista la formulazione del co. 1-bis dell’art. 22 del DLgs. 472/97, che esplicitamente legittima la Guardia di Finanza alla richiesta, ne dovrebbe discendere, come logica conseguenza, che anch’essa abbia legittimazione non solo sostanziale ma altresì processuale.

In caso contrario, cioè di istanza presentata unicamente dalla Guardia di Finanza e di partecipazione al giudizio della sola Agenzia delle Entrate si ritiene ravvisabile, a livello potenziale, un’ecce­zione fondata sul difetto di legittimazione.

Diversa è la posizione della Guardia di Finanza, la quale ha sostenuto che al giudizio cautelare dinanzi alla Commissione tributaria provinciale parteciperà “quale parte processuale in senso tecnico, l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate competente ad emettere l’avviso”. Ciò in ragione del fatto che l’art. 10 del DLgs. 546/92 non contempla, tra le parti del processo, la Guardia di Finanza.

Inoltre, il co. 1-ter dell’art. 22 del DLgs. 472/97 stabilisce che, nei casi del precedente co. 1-bis, la Guardia di Finanza fornisce all’Agenzia delle Entrate ogni elemento utile per la gestione della procedura, implicitamente confermando che essa rimane parte del processo.

Se, comunque, l’istanza cautelare viene “suggerita” dalla Guardia di Finanza all’Agenzia delle Entrate e, formalmente, l’istanza (che è in sostanza un ricorso presentato dalla parte pubblica) viene presentata da quest’ultima, alcun vizio può essere eccepito.

Atti che possono fondare la richiesta cautelare

Ai sensi dell’art. 22 del DLgs. 472/97, la domanda cautelare può essere proposta, dopo la loro notifica, in base:

  • all’atto di contestazione della sanzione;
  • al provvedimento di irrogazione della sanzione;
  • al processo verbale di constatazione (“PVC”);
  • all’avviso di accertamento;
  • all’avviso di recupero del credito d’imposta].

L’art. 27 co. 6 del DL 185/2008 stabilisce: “in caso di pericolo per la riscossione, dopo la notifica, da parte dell’ufficio o ente, del provvedimento con il quale vengono accertati maggiori tributi, si ap­plicano, per tutti gli importi dovuti, le disposizioni di cui ai commi da 1 a 6, dell’articolo 22, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472”. Si ritiene che, in ragione del dato normativo, la richiesta possa basarsi anche sugli avvisi di liquidazione emessi in tema di imposte d’atto, nella misura in cui si tratti di provvedimenti che, in concreto, accertano un maggior tributo (si pensi alla riqualificazione degli atti o alla revoca di agevolazioni) e non meramente liquidatori.

Invece, a livello generale, sembra che l’art. 22 del DLgs. 472/97 sia uno strumento poco compatibile con la cartella di pagamento, anche perché, decorsi sessanta giorni dalla sua notifica, l’ina­dempimento legittima l’adozione di misure cautelari senza l’intervento del giudice, come l’ipoteca esattoriale (fermo restando il limite dei 20.000,00 euro) e il fermo dei beni mobili registrati].

L’elenco degli atti legittimanti la richiesta cautelare è tassativo, quindi non suscettibile di interpretazione analogica.

a) Processo verbale di constatazione

In caso di istanza richiesta sulla base del “PVC”, è previsto che la misura cautelare perda efficacia se, entro 120 giorni dall’adozione della misura stessa, non viene notificato l’atto impositivo, ex art. 22 co. 7 lett. b) del DLgs. 472/97.

La circ. Agenzia delle Entrate 15.2.2010 n. 4 (§ 4.2) ha chiarito che, nella suddetta ipotesi, non è sufficiente la semplice consegna del “PVC” ad opera dei verificatori, ma occorre la notifica di tale atto da parte della stessa Agenzia nelle forme di cui all’art. 60 del DPR 600/73.

b) Avvisi di accertamento esecutivi

Nel sistema degli accertamenti esecutivi ex art. 29 del DL 78/2010, l’ente impositore dispone già di par­ticolari tutele per il credito: ciò tuttavia di per sé non rende inammissibile la richiesta cautelare.

Tale sistema, che ha espunto il meccanismo del ruolo con susseguente venir meno della necessità di notifica della cartella di pagamento a seguito dell’accertamento, ha limitato l’interesse a chiedere le misure cautelari, soprattutto ove sia ravvisabile un fondato pericolo per il buon esito della riscossione, in quanto in tal caso è possibile procedere (analogamente a quanto previsto dall’art. 15-bis del DPR 602/73) con l’esecuzione coattiva dopo appena 60 giorni dalla notifica dell’avviso di accertamento[1].

Rispetto alla richiesta delle misure cautelari, l’avviso di accertamento esecutivo presenta il vantaggio di non esporre l’Ufficio al rischio che esse non vengano concesse, per non aver ravvisato il giudice il fumus boni iuris e il periculum in mora.

L’Agenzia delle Entrate-Riscossione, in costanza dei requisiti di legge e senza un particolare obbligo di motivazione, può disporre l’ipoteca esattoriale e il fermo dei beni mobili registrati. L’art. 22 del DLgs. 472/97, comunque, potrebbe essere strumentale all’ottenimento del sequestro.

Presupposti della richiesta cautelare

L’art. 22 co. 1 del DLgs. 472/97 statuisce che l’istanza cautelare presuppone la sussistenza delle c.d. “esigenze cautelari”, ovvero:

  • la potenziale attendibilità della pretesa tributaria (fumus boni iuris)[2];
  • il fondato timore di perdere la garanzia del credito fiscale (periculum in mora).

Tali requisiti devono coesistere.

a) Verosimiglianza della pretesa (fumus boni iuris)

Il fumus boni iuris consiste nella potenziale fondatezza della pretesa richiesta nel “PVC” o nell’atto impositivo.

In tale ipotesi, il requisito può essere dimostrato mediante il richiamo ai contenuti del processo verbale o dell’accertamento, anche se ciò, come precisa la circ. Agenzia delle Entrate 15.2.2010 n. 4 (§ 3), non comporta il venir meno dell’obbligo di motivazione dell’istanza.

In giurisprudenza è stato escluso il fumus boni iuris in relazione ad un’istanza basata sulle presunzioni indicate in un processo verbale di constatazione.

b) Timore di perdere la garanzia del credito (periculum in mora)

Il fondato timore di perdita del credito deve essere attuale e non ipotetico, riscontrabile attraverso elementi oggettivi quali la consistenza del patrimonio e la condotta del debitore.

A titolo esemplificativo, la circ. Agenzia delle Entrate 15.2.2010 n. 4 e la circ. Guardia di Finanza 27.11.2017 n. 1/2018, vol. II, Parte III, cap. 3, rilevano le seguenti condotte:

  • mutamenti di domicilio fiscale effettuati a ridosso delle verifiche, al fine di ritardare l’attività di notificazione degli atti;
  • alienazioni simulate dei propri beni finalizzate a vanificare la pretesa fiscale;
  • cambi di compagine sociale e messa in liquidazione della società;
  • sospette operazioni sul capitale sociale;
  • cessazione dell’attività d’impresa;
  • cessioni di beni o diritti eseguite in epoca recente, tali da far ritenere che si sia in presenza di un tentativo di sottrarsi all’obbligo tributario;
  • inadempimenti delle norme civilistiche sintomatici di insolvenza (omesso deposito del bilancio; mancata riduzione o ricostituzione del capitale sociale quando ciò sia obbligatorio).

Di seguito si riportano in forma tabellare alcune casistiche, analizzate in giurisprudenza e dalla prassi, ove le esigenze cautelari sono state ritenute sussistenti.


In giurisprudenza, si è affermato che la misura cautelare può essere presa in considerazione in presenza di situazioni di peculiare pericolosità, come, ad esempio, avviene in caso di dichiarazioni fraudolente o di emissione di fatture per operazioni inesistenti, e, più in generale, di reati tributari.

Nella circ. Guardia di Finanza 27.11.2017 n. 1/2018, vol. II, Parte III, cap. 3 vengono individuate alcune situazioni di pericolo di ordine soggettivo quali “la natura di evasore totale del soggetto verificato, il suo coinvolgimento in meccanismi evasivi di particolare fraudolenza, la constatazione di illeciti penali tributari di peculiare offensività (quali l’emissione di fatture per operazioni inesistenti o la dichiarazione fraudolenta realizzata a mezzo di documenti non veritieri), oppure la sussistenza di precedenti specifici come pregresse insolvenze in occasione di procedimenti esecutivi promossi da privati o da altri enti pubblici”.

Si riportano in forma tabellare alcune casistiche, analizzate in giurisprudenza, ove le esigenze cautelari sono state ritenute insussistenti.

Indagini finanziarie

L’analisi della situazione del contribuente può avvenire mediante indagini finanziarie, in ragione dell’art. 22 co. 1 del DLgs. 472/97 e dell’art. 27 co. 5 del DL 185/2008[1].

Analisi del bilancio

Il timore di perdita del credito viene valutato, se del caso, facendo riferimento agli indici di bilancio; a tal fine, la circ. Agenzia delle Entrate 15.2.2010 n. 4 (§ 4.1.1) riprende le istruzioni fornite con la precedente circ. 6.7.2001 n. 66.

In primo luogo, viene considerato l’indice di solvibilità negativo (inferiore a 1), dato dal rapporto tra le attività (comprese le immobilizzazioni al netto degli ammortamenti) e il totale delle passività, sulla base dei dati di bilancio[.

Il suddetto indice può essere integrato con i c.d. “indici di struttura”, precisamente con i seguenti indicatori:

  • indice di copertura delle immobilizzazioni (Patrimonio netto + passivo consolidato / immobilizzazioni al netto degli ammortamenti);
  • indice di copertura delle immobilizzazioni con Patrimonio netto (Patrimonio netto / immobilizzazioni al netto degli ammortamenti)

Inoltre, viene vagliato l’indice di indebitamento superiore a 2, dato dal rapporto tra il totale delle passività e il Patrimonio netto.

L’indice di indebitamento, a sua volta, può essere integrato con i c.d. “indici di liquidità”, in particolare con l’indice di liquidità “secco” (liquidità immediate + liquidità differite / passività correnti).

Quanto esposto può essere completato, a discrezione dei verificatori, mediante la considerazione degli “indici di redditività”, nello specifico:

  • del ROI (reddito operativo / attività dello stato patrimoniale);
  • del ROE (reddito netto / Patrimonio netto).

La circ. Guardia di Finanza 27.11.2017 n. 1/2018, vol. II, Parte III, cap. 3 ha fornito ulteriori precisazioni in merito agli elementi oggettivi che devono essere presi in considerazione distinguendo tra

  • imprese in contabilità ordinaria, per le quali è stato precisato che occorre valutare congiunta­men­te, avuto riguardo alle pertinenti voci desumibili dall’ultimo bilancio approvato disponibile:
  • che l’indice di solvibilità – ossia il rapporto tra le componenti dell’attivo circolante ed immobilizzato ed il totale delle passività – presenti un valore inferiore all’unità;
  • che l’indice d’indebitamento – vale a dire il rapporto fra le passività (mezzi di terzi) ed il Patrimonio netto (mezzi propri) – sia superiore a 2;
  • imprese in contabilità semplificata, per le quali viene chiarito che occorre valutare se, in rapporto alla pretesa erariale da garantire formalizzata nel processo verbale di constatazione, risulti o meno sufficiente il valore complessivo dei beni strumentali (al netto degli ammortamenti), delle rimanenze finali, del patrimonio immobiliare e dei beni mobili registrati.

Secondo quanto chiarito con la circ. Guardia di Finanza 27.11.2017 n. 1/2018, vol. II, Parte III, cap. 3, analogo criterio, seppure applicato con le necessarie variazioni, sarà adottato nel caso di interventi ispettivi nei confronti di contribuenti non percettori di redditi d’impresa o esercenti arti e professioni.

Misure cautelari adottabili

Le misure cautelari ottenibili dall’ente impositore sono il sequestro conservativo e l’ipoteca.

Tali misure cautelari conservano la loro efficacia anche successivamente alla notifica della cartella di pagamento o all’accertamento esecutivo[.

Nella circ. Agenzia delle Entrate 15.2.2010 n. 4 (§ 4.2) viene specificato che il sequestro conservativo e l’ipoteca

  • possono essere oggetto di richiesta congiunta, qualora l’adozione di una delle suddette misure non sia sufficiente a garantire la pretesa[1];
  • possono riguardare ogni tipo di tributo.

a) Ipoteca

L’ipoteca consiste in un diritto di prelazione a favore del creditore, “attribuendo all’Agenzia il diritto (esercitabile anche nei confronti del terzo acquirente) di espropriare i beni vincolati a garanzia del suo credito e di essere soddisfatta con preferenza sul prezzo ricavato dall’espropriazione].

Ai sensi dell’art. 2810 c.c., l’ipoteca può avere ad oggetto beni immobili, i diritti, le rendite e i beni iscritti in pubblici registri (quindi ad esempio auto, aerei, barche).

Ci si può interrogare sull’applicabilità, all’ipoteca iscritta ai sensi dell’art. 22 del DLgs. 472/97, del limite di debito di 20.000,00 euro previsto dall’art. 77 del DPR 602/73. Uno spunto per sostenere la tesi affermativa potrebbe derivare dall’art. 27 co. 7 del DL 185/2008, secondo cui le misure cautelari “conservano, senza bisogno di alcuna formalità o annotazione, la loro validità e il loro grado a favore dell’agente della riscossione che ha in carico il ruolo”. Se l’ipoteca conserva validità anche dopo il ruolo, si può affermare che debba rispettare i requisiti di legittimità previsti dal DPR 602/73 per gli atti cautelari successivi al ruolo stesso[.

b) Sequestro

Il sequestro può concernere ogni bene del contribuente, ivi compresa l’azienda.

Esso viene disposto con il fine di evitare la dispersione dei beni del debitore, “ed adempie alla funzione preventiva di rendere inopponibili al creditore gli atti di disposizione del patrimonio compiuti dal debitore; non producono effetto, in pregiudizio al creditore sequestrante, le alienazioni e gli altri atti che hanno per oggetto il bene sotto sequestro”.

Sequestro dell’azienda

La circ. Agenzia delle Entrate 15.2.2010 n. 4 (§ 4.2) evidenzia come il sequestro dell’azienda possa avere conseguenze negative sulla redditività della stessa. Per questo motivo, ciò deve essere evitato ove il trasgressore possieda altri beni che possono essere oggetto di misure cautelari.

In armonia con quanto esposto, in giurisprudenza è stato affermato che il sequestro dell’azienda potrebbe “decapitare” l’attività. Oltre a ciò, in altra sede i giudici hanno ritenuto di limitare il sequestro ai beni immobili, evitando quello dell’azienda, che “appare misura eccessiva, anche per le conseguenze negative che provocherebbe a livello concreto, finendo per determinare una paralisi dannosa anche per le ragioni creditizie].

Sequestro di quote societarie

In caso di possesso di quote societarie, la circ. Agenzia delle Entrate 15.2.2010 n. 4 (§ 4.2) consiglia di procedere con celerità, siccome le suddette quote, sebbene possano avere uno scarso valore nominale, possono invece essere dotate di un valore reale significativo, in presenza di un Patrimonio netto positivo della società partecipata.

Ambito applicativo delle misure cautelari

Le misure cautelari, a seguito delle innovazioni apportate dall’art. 27 del DL 185/2008, si applicano anche con riferimento alle somme dovute a titolo di imposta, e non solo relativamente alle sanzioni.

Si ricorda che, prima del suddetto intervento normativo, non era pacifico se l’art. 22 del DLgs. 472/97 riguardasse i soli crediti inerenti alle sanzioni amministrative[.

a) Limiti quantitativi

Nonostante l’art. 22 del DLgs. 472/97 non preveda alcun limite quantitativo, la circ. Agenzia delle Entrate 15.2.2010 n. 4 (§ 4.1) precisa che l’opportunità di avviare la procedura sarà ravvisata, salvo casi particolari, in presenza di rilievi che comportano un recupero di:

I menzionati parametri sono stati ripresi nella circ. Guardia di Finanza 27.11.2017 n. 1/2018, vol. II, Parte III, cap. 3.

Richiesta basata sul “PVC”

Se l’istanza cautelare è basata sul verbale di constatazione, “dovranno essere determinati gli importi dei tributi, degli interessi e delle sanzioni che saranno in concreto applicati sulla base dei rilievi condivisi dall’Ufficio”.

Ambito applicativo delle misure cautelari

Il sequestro e l’ipoteca possono riguardare i beni di proprietà del contribuente e degli eventuali obbligati in solido.

La circ. Agenzia delle Entrate 15.2.2010 n. 4 (§ 2) elenca alcune ipotesi specifiche, disciplinate dal DLgs. 472/97, relative all’estensione della garanzia del credito, riguardanti:

Soci di società di persone

Secondo quanto previsto dall’art. 2304 c.c., nelle società di persone i soci rispondono illimitatamente e solidalmente per le obbligazioni sociali, ma con il beneficio della preventiva escussione.

La preventiva escussione non impedisce che i beni dei soci possano essere oggetto di misure cautelari ai sensi dell’art. 22 del DLgs. 472/97.

Per consolidata giurisprudenza, infatti, il creditore, nonostante la preventiva escussione, può munirsi di un titolo esecutivo o di una garanzia per tutelare il proprio credito, senza necessariamente dover prima agire nei confronti della società].

Violazioni commesse nell’ambito di persone giuridiche

Per effetto dell’art. 7 del DL 30.9.2003 n. 269, le sanzioni relative a violazioni commesse nell’ambito di rapporti facenti capo a una persona giuridica sono irrogabili solo nei confronti della persona giuridica stessa, e non dell’autore materiale del fatto.

Di conseguenza, la misura cautelare non può essere rivolta, ad esempio, nei confronti dei beni degli amministratori di una SRL.

Fase processuale

L’istanza cautelare dà luogo ad un processo autonomo che, salvo la procedura d’urgenza, presuppone l’avvenuta instaurazione del contraddittorio con il contribuente.

Il procedimento di richiesta della misura cautelare può essere così riassunto:

  • emanazione dell’atto legittimante la richiesta cautelare (es. “PVC”, avviso di accertamento);
  • notifica dell’istanza al contribuente e agli eventuali obbligati in solido;
  • deposito dell’istanza presso la segreteria del giudice adito;
  • eventuale deposito di memorie difensive da parte del contribuente e degli obbligati (entro 20 giorni dalla notifica dell’istanza);
  • fissazione da parte del Presidente della trattazione dell’istanza;
  • sentenza appellabile della Commissione tributaria.

Prestazione “spontanea” di una garanzia ad opera del contribuente

In alternativa alle misure cautelari che possono essere concesse dal giudice, è possibile, secondo la circ. Agenzia delle Entrate 15.2.2010 (§ 4.2), valutare la prestazione di idonea garanzia ad opera del contribuente (l’accoglimento di ciò eviterebbe la necessità di instaurazione del processo di fronte al Giudice tributario)

b) Procedimento “ordinario”

L’istanza, che va presentata dall’ente impositore o dalla Guardia di Finanza, deve essere indirizzata al Presidente della Commissione tributaria provinciale che assegnerà la causa ad una sezione[. Deve essere adeguatamente motivata, dovendo esporre le ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda, con particolare riferimento alle c.d. “esigenze cautelari”.

La domanda deve contenere:

  • l’indicazione del titolo in base al quale si procede (es. “PVC” o atto impositivo);
  • l’indicazione della somma per la quale si procede;
  • la motivazione circa la verosimiglianza della pretesa;
  • le ragioni che giustificano il fondato timore di perdere la garanzia del credito;
  • la descrizione dei beni o dei diritti che si intendono sottoporre a sequestro o ipoteca

Notifica dell’istanza e deposito

L’istanza, prima del deposito, deve essere notificata alle parti interessate (contribuente, obbligato in solido).

La notifica può avvenire, alternativamente, mediante ufficiale giudiziario, spedizione a mezzo posta o messo autorizzato dall’ente creditore, ove sia prevista questa modalità (si veda l’art. 16 del
DLgs. 546/92, che contempla ciò per le Agenzie fiscali).

Allo stato attuale, non è chiaro se, come sancisce l’art. 16 co. 5 del DL 119/2018, per le istanze no­tificate dall’1.7.2019 sarà obbligatorio l’utilizzo della telematica. Nonostante l’istanza sia, nei fatti, un ricorso rientrante nella giurisdizione tributaria, non tutti i contribuenti, come ad esempio le persone fisiche non titolari di attività d’impresa, sono tenuti a dotarsi di PEC. Né sussiste alcun obbligo di munirsi di difensore (soggetto che possiede una casella PEC) nella fase di verifica fiscale.

Costituzione in giudizio dell’istante/Ente impositore

L’art. 22 del DLgs. 472/97 non specifica se il deposito dell’istanza debba avvenire prima o dopo la notifica della stessa al contribuente.

In giurisprudenza, è stato sostenuto che la notifica dell’istanza al contribuente deve avvenire prima del deposito. Nello stesso senso si è espressa l’Agenzia delle Entrate].

Il deposito del ricorso non pone particolari problemi. Si rileva che, nella prima pagina del modello di “Nota di iscrizione a ruolo”, nello spazio relativo al “Proponente”, vi è non solo la casella riservata al contribuente, ma anche quella per l’ente impositore, che agisce richiedendo le misure cautelari in oggetto. È l’unico caso in cui, nel processo tributario, in primo grado la causa può essere instaurata da un ente impositore.

Da un esame dell’art. 22 co. 2 e 3 del DLgs. 472/97 si può sostenere che la costituzione in giudizio dell’ente impositore/istante debba avvenire entro i venti giorni successivi alla notifica dell’istan­za. Infatti, ciò non rappresenta solo il termine ultimo entro cui il contribuente può presentare memorie, ma segna il momento a partire dal quale il Presidente della Commissione fissa la trattazione[.

Contributo unificato atti giudiziari

L’istanza ex art. 22 del DLgs. 472/97 è, secondo il Ministero dell’Economia e delle Finanze, soggetta a contributo unificato atti giudiziari[.

È possibile sostenere che il processo in esame sia al di fuori del campo di applicazione del contributo unificato: vi è una impossibilità di quantificazione dello stesso, considerato che, espressamente, gli artt. 13 e 14 del DPR 115/2002 rinviano all’art. 12 del DLgs. 546/92, norma che, in merito al valore, fa riferimento agli atti impugnati al netto di sanzioni e interessi, e non a richieste cautelari.

Ove si individuasse il valore con riferimento all’entità della domanda cautelare, si applicherebbe in modo analogico il richiamato combinato disposto normativo, cosa che può apparire poco corretta. In relazione al reclamo ex art. 22 co. 4 del DLgs. 472/97 (mezzo di impugnazione del decreto d’urgenza, presente nel sistema ante DLgs. 156/2015), ma lo stesso può sostenersi per l’appello, è stato affermato, in modo censurabile, che se la misura cautelare origina da quattro accertamenti, occorre in sostanza pagare quattro contributi unificati parametrati al valore di ciascun atto

Costituzione in giudizio del resistente/contribuente

Il contribuente può, entro 20 giorni dalla notifica dell’istanza ricevuta dall’ente impositore, depositare memorie difensive e documenti[.

Si ritiene necessaria la presenza del difensore, in quanto non si ravvisano cause di esonero dall’obbligo del patrocinio nel caso di cui ci si occupa].

Detto adempimento avviene consegnando, manualmente o a mezzo posta, le memorie con cui si confuta la richiesta cautelare, unitamente ai documenti. In applicazione analogica degli artt. 24 e 32 del DLgs. 546/92, le memorie vanno prodotte in una copia per il giudice e in tante copie quante sono le parti (in pratica, bisogna depositare l’originale per il giudice più una o due “copie di cortesia”, e una copia per l’ente impositore).

I documenti, invece, devono essere elencati in calce alla memoria (o, se prodotti separatamente, in apposita nota sottoscritta del difensore), e depositati in tante copie quante sono le parti, più una copia per il giudice.

Bozza di memoria difensiva

Trattazione della causa

Decorsi 20 giorni dalla notifica dell’istanza al contribuente, il Presidente fissa con decreto la trattazione per la prima camera di consiglio utile[. La norma precisa altresì che il Presidente deve disporre che alle parti (anche non costituite) sia data comunicazione dell’udienza almeno 10 giorni prima (se il contribuente risiede all’estero, il termine è triplicato).

La discussione della causa deve avvenire con la presenza delle parti.

Con la sentenza 19.3.2008 n. 7342, la Corte di Cassazione ha chiarito che la mancanza, nell’art. 22 del DLgs. 472/97, di una espressa previsione di audizione delle parti costituisce una lacuna legislativa. Di conseguenza, “non sembra dubitabile che tale audizione debba avere luogo (anche in assenza di preventiva richiesta delle parti di trattazione in pubblica udienza)”.

Decisione della causa

La causa relativa alla domanda cautelare deve essere decisa con sentenza. Poiché l’art. 22 del DLgs. 472/97 qualifica espressamente come “sentenza” il provvedimento con cui il giudice decide sull’istanza, si deve ritenere che esso sia sottoposto ai mezzi di impugnazione previsti per le sentenze, ovvero all’appello e al ricorso per Cassazione.


b) Procedimento d’urgenza

L’art. 22 co. 4 del DLgs. 472/97 prevede una particolare procedura, che può essere definita di “urgenza”, da applicare nel caso in cui il tempo necessario per procedere con la convocazione del contribuente potrebbe pregiudicare l’attuazione del provvedimento.

In tal caso, l’istanza viene solo depositata presso la segreteria del giudice senza previa notifica al contribuente. A questo punto, il Presidente con decreto concede la misura cautelare e fissa l’udienza assegnando all’istante un termine per la notifica del ricorso e del decreto, non superiore a 15 giorni.

Nel corso dell’udienza la misura cautelare potrà essere confermata o revocata.

Anche in questa procedura il contribuente può presentare documenti e memorie. Non è previsto un termine per l’esercizio di tale facoltà: eventuali documenti potranno essere prodotti, al più tardi, in udienza.

L’Agenzia delle Entrate ha ravvisato motivi di urgenza in caso di “alienazione di beni del trasgressore che oggettivamente garantivano la concreta realizzazione della pretesa tributaria o l’appo­sizione sugli stessi di vincoli surrettizi che ne rendano più difficile l’eventuale escussione”. Questo procedimento può, sempre per le Entrate, essere utilizzato per il sequestro di conti correnti e/o di crediti, trattandosi di beni di cui il contribuente potrebbe agevolmente liberarsi in breve tempo.

c) Spese di giudizio

Secondo quanto previsto dall’art. 15 del DLgs. 546/92, nel processo tributario le spese sono a carico della parte soccombente, salva compensazione per gravi ed eccezionali ragioni.

In caso di soccombenza dell’ente creditore o della Guardia di Finanza le spese saranno sostenute dall’ente creditore.

La condanna alle spese dell’istante va disposta, salvo il giudice ritenga di compensare, anche in caso di rinuncia all’istanza stessa.

d) Prestazione di garanzia nelle more del processo

L’art. 22 co. 6 del DLgs. 472/97 prevede che la parte interessata possa fornire idonea garanzia mediante cauzione o fideiussione bancaria o assicurativa, richiamando l’art. 69 del DLgs. 546/92.

Conseguentemente all’offerta della garanzia, il Giudice può non autorizzare o autorizzare in parte la misura cautelare.

Visto il richiamo all’art. 69 del DLgs. 546/92, occorre il rispetto del DM 6.2.2017 n. 22.

In particolare, l’art. 2 co. 4 del DM 6.2.2017 n. 22 sancisce che la garanzia è prestata fino al termine del nono mese successivo a quello della definitività dell’atto impositivo. Essa cessa, però, in automatico nelle ipotesi di cui alle lettere b) e c) del co. 7 dell’art. 22 del DLgs. 472/97, vale a dire:

  • se entro 120 giorni dalla prestazione della garanzia non viene notificato l’atto impositivo, in caso di richiesta fondata sul verbale;
  • oppure a seguito di sentenza anche non definitiva che accoglie il ricorso contro gli atti fondanti la richiesta cautelare.

Il contribuente, ai sensi dell’art. 69 co. 3 del DLgs. 546/92, ha diritto alla restituzione delle somme spese per la garanzia, ove risulti definitivamente vincitore nel processo avverso l’atto da cui origina la domanda cautelare. Lo stesso deve dirsi per il caso in cui, in appello, il giudice abbia ribaltato la decisione di primo grado, che aveva ammesso la prestazione della garanzia, ritenendo sussistenti i presupposti per l’art. 22 del DLgs. 472/97.

e) Riproposizione dell’istanza

Ove l’istanza sia stata respinta, si ritiene che la stessa possa essere riproposta, nella misura in cui siano presenti nuovi elementi a dimostrazione delle esigenze cautelari[.

Allo stesso modo, i nuovi elementi possono essere fatti valere dall’ente impositore nel giudizio di appello avverso la sentenza che ha o non ha autorizzato la misura cautelare.

Rapporti con il processo contro l’atto impositivo

La richiesta cautelare presuppone la sussistenza di un atto impositivo o del processo verbale di constatazione.

Quindi, può succedere che il menzionato atto venga impugnato dal contribuente. In tal caso:

  • il rigetto del ricorso non comporta alcun effetto sulla misura cautelare eventualmente concessa;
  • l’accoglimento dell’impugnazione, a prescindere dalla formazione del giudicato, ha come effetto la perdita di efficacia della misura, come previsto dall’art. 22 co. 7 del DLgs. 472/97.

a) Concessione della “sospensiva” in sede di ricorso avverso l’atto fondante la misura cautelare

La circ. Agenzia delle Entrate 15.2.2010 n. 4 (§ 4.2.2) chiarisce che la sospensione dell’atto impugnato, ex art. 47 del DLgs. 546/92, non comporta la perdita di efficacia della cautela concessa.

Tuttavia, si può osservare come la sospensiva possa costituire un utile argomento per confutare il fumus boni iuris, nelle more del processo attivato con l’istanza cautelare[.

b) Pendenza dei due procedimenti

In ipotesi di pendenza del processo cautelare e del contenzioso avverso l’accertamento o altro at­to fondante l’istanza cautelare, è opportuno, ove i ricorsi pendano dinanzi alla stessa Commissione e secondo l’Agenzia delle Entrate, sollecitarne la riunione ai sensi dell’art. 29 del DLgs. 546/92.

Efficacia delle misure cautelari

Secondo quanto previsto dall’art. 22 co. 7 del DLgs. 472/97, la misura cautelare perde efficacia se:

  • entro 120 giorni dall’adozione del provvedimento cautelare, non viene notificato l’atto di irrogazione o di contestazione della sanzione o l’avviso di accertamento, se l’atto legittimante la misura cautelare è stato un “PVC”;
  • sopravviene una sentenza di accoglimento (anche non passata in giudicato) del ricorso proposto nel frattempo dal contribuente contro l’atto che ha legittimato la domanda cautelare;
  • non è eseguita entro sessanta giorni dalla comunicazione del dispositivo della sentenza che ha accolto l’istanza cautelare dell’ente[.

L’estinzione si verifica anche a seguito dell’annullamento d’ufficio dell’atto.

La sentenza costituisce titolo per la cancellazione della misura cautelare.

Accoglimento parziale del ricorso

Se il ricorso contro l’atto che ha fondato la richiesta cautelare è stato accolto solo in parte, il giudice riduce proporzionalmente l’entità dell’iscrizione ipotecaria o del sequestro[.

a) Accertamento esecutivo

In forza dell’art. 29 del DL 78/2010, l’atto di accertamento emesso in materia di imposte sui redditi, IVA e IRAP svolge anche la funzione di titolo esecutivo e di precetto, contenendo l’intimazione ad adempiere e diventando esecutivo decorsi sessanta giorni dalla notifica. Pertanto, l’eventuale riscossione coattiva non richiede né l’iscrizione a ruolo, né la notifica della cartella, in quanto, decorsi trenta giorni dal termine ultimo per il pagamento, la riscossione delle somme viene affidata in carico all’Agente della Riscossione.

L’esecuzione forzata è, di norma, inibita nei centottanta giorni successivi all’affidamento del credito all’Agente della Riscossione. Tuttavia, tale termine di sospensione non si applica alle azioni cautelari, conseguentemente durante tale termine possono essere presentate istanze di sequestro conservativo dei beni del debitore o di iscrizione ipotecaria, laddove venga ravvisato un fondato pericolo per la riscossione del credito.

In ipotesi di fondato pericolo per la riscossione, l’ufficio può (analogamente a quanto previsto dall’art. 15-bis del DPR 602/73 in tema di ruolo straordinario) procedere con la riscossione integrale di imposta, sanzioni e interessi. Peraltro, nel caso in cui notifichi l’avviso di accertamento e, non ravvisando il fondato pericolo per la riscossione non ritenga di dover ricorrere all’affidamento anticipato, in giurisprudenza[ si è ritenuto che non possa successivamente chiedere l’applicazione delle misure cautelari, ove abbia già iscritto a ruolo a titolo provvisorio le somme a seguito di impugnazione dell’avviso di accertamento.

L’avvento degli accertamenti esecutivi ha nei fatti limitato l’interesse a chiedere le misure cautelari. Infatti, per iniziare l’esecuzione dopo appena 60 giorni dalla notifica dell’avviso di accertamento è sufficiente la motivazione del fondato pericolo per la riscossione. Nel caso delle misure cautelari, di contro, l’ente impositore o il Comandante della Guardia di Finanza devono presentare un’istanza ad un soggetto terzo (il giudice) dimostrando il fumus boni iuris e il periculum in mora.

b) Efficacia delle misure cautelari e fase di riscossione

L’art. 27 co. 7 del DL 185/2008 sancisce che le misure cautelari conservano la loro efficacia anche successivamente alla notifica della cartella di pagamento o all’accertamento esecutivo.

A ben vedere, da tale momento, l’Agente della Riscossione, sulla base del ruolo, avrebbe potuto iscrivere ipoteca ai sensi dell’art. 77 del DPR 602/73, senza necessità di rivolgersi al giudice. In virtù di ciò, qualora l’ente impositore abbia ottenuto l’autorizzazione al sequestro o all’ipoteca, l’Agente della Riscossione non ha, almeno nella generalità delle ipotesi, più necessità di adottare l’ipoteca ex art. 77 del DPR 602/73, posto che questa mantiene la sua efficacia.

L’espropriazione immobiliare potrà avvenire, come stabilito dall’art. 76 del DPR 602/73, solo se il credito per cui si procede supera complessivamente i 120.000,00 euro e non si tratta di “prima casa”, salvo l’immobile sia di lusso.

La circ. Agenzia delle Entrate 15.2.2010 n. 4 (§ 4.3) precisa che, se gli importi garantiti dalle misure cautelari sono superiori a quelli iscritti a ruolo, le misure stesse mantengono efficacia nei confronti dell’ente impositore solo per la parte non iscritta a ruolo.

c) Ruoli straordinari

La possibilità di adottare il ruolo straordinario, che presuppone il fondato pericolo per la riscossione, non comporta il venir meno delle misure cautelari in oggetto[.

Diverse sono le finalità perseguite dai due istituti. “Tenuto conto, infatti, dei tempi tecnici necessari per la consegna del ruolo o affidamento del carico e per l’inizio della procedura esecutiva da parte dell’Agente della Riscossione, il procedimento di adozione delle misure cautelari ai sensi del citato articolo 22, essendo attivabile immediatamente dopo la notifica dell’avviso di accertamento o anche precedentemente sulla base del processo verbale di constatazione, anticipa la tutela del credito erariale in funzione della successiva attività di recupero coattivo”.

d) Dilazione dei ruoli

Le esigenze cautelari, ove il contribuente abbia chiesto ed ottenuto la dilazione dei ruoli ai sensi dell’art. 19 del DPR 602/73 e risulti in regola con le rate, di norma non sussistono[.

Se la rateazione viene chiesta a seguito di cartella di pagamento, detta soluzione appare scontata in quanto se la prima rata è pagata nei sessanta giorni, non c’è alcuna morosità. Tuttavia, si potrebbe ritenere insussistente il fondato pericolo per la riscossione sia nel caso degli accertamenti esecutivi (ove, ex art. 29 del DL 78/2010, la dilazione può essere chiesta solo quando il contribuente è già moroso) sia quando la prima rata viene pagata dopo i sessanta giorni: la volontà, manifestata dal contribuente, di pagare le rate, a livello generale sembra far venir meno detto presupposto.

È invece arduo affermare che il pagamento della prima rata del piano di dilazione ex art. 19 del DPR 602/73 travolga la cautela già autorizzata. Infatti, per espressa previsione di tale norma, non vengono meno neanche i fermi e le ipoteche già adottati dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione.

Rapporti con gli istituti definitori delle pendenze fiscali

La misura cautelare adottata ai sensi dell’art. 22 del DLgs. 472/97 è strumentale a garantire il credito in caso di pericolo per la riscossione. Deve quindi trattarsi di credito che potrebbe essere oggetto di inadempimento ad opera del contribuente.

In ragione di ciò, bisogna interrogarsi sui nessi che intercorrono tra le misure cautelari in oggetto e i vari istituti definitori delle pretese disciplinati dalla legge fiscale.

A livello generale, la circ. Agenzia delle Entrate 15.2.2010 n. 4 (§ 5) precisa che, ove il contribuente abbia definito la propria posizione in via amministrativa, non vi è necessità di attivare la procedura cautelare.

La giurisprudenza e la prassi concordano nell’affermare che, quando la disciplina dell’istituto definitorio, come ad esempio l’accertamento con adesione, prevede che il pagamento della prima rata estingua l’obbligazione, la misura cautelare non abbia ragione di esistere. Infatti, non è presente una posizione di inadempienza del contribuente.

Il discorso appare diverso se la disciplina dell’istituto definitorio sancisce che esso si perfeziona con il pagamento di tutte le somme e/o dell’ultima rata.

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